Visioni

Opera di Vasilij Kandinskij (1866-1944)
Vasilij Kandinskij (1866-1944)

 

A volte mi capitava di immaginarmi le cose con così tanta potenza ed intensità che pareva proprio che fossero vere.

Nel parcheggio del supermercato, di fronte alla fila di carrelli per la spesa, con lo sguardo fisso dentro la cerniera del portamonete, osservavo il volo di una moltitudine di farfalle che invadeva l’aria e la sentivo fresca sulla mia pelle. Piroettavo intorno per poi correre spensierata giù per la collina, incontro alla nonna che mi attendeva in fondo seduta sulla tovaglia del pic-nic. Annusavo il profumo della torta di mele e more e la nonna intonava una canzonetta nella brezza.
Stavo immobile, mentre nella testa intrecciavo mondi paralleli in cui potevo perdermi infinite volte.

Credo sia sempre stato così, per me.
Iniziai a trascrivere i miei viaggi pensando di dover trovare una direzione.

Mi sposai in una giornata di primavera con una pioggia leggera che, anziché rattristarmi, mi mise addosso l’allegria e fece sparire la tensione che si era affacciata sul mio viso.
La stessa estate ci trasferimmo sul lago, come avevamo progettato nei minimi dettagli.
La vita proseguiva perfetta, con un piede ben fissato a terra ed un occhio fra le nuvole.

Quel giorno fui avvolta da un silenzio ovattato, come un manto di neve calato all’improvviso.
Immerse nella penombra, due onde luminose si rincorrevano in lontananza, nebulose e indistinte, componendo lentamente una danza. L’eco quasi impercettibile di un’antica melodia risuonava nell’aria densa tutt’intorno. Non esisteva più il tempo, ma solo le figure di luce che i due ballerini disegnavano nel vuoto. Era così bello da mozzare il fiato.

Sentii il sangue raggelare nelle vene e mi svegliai di colpo in ospedale.
Realizzai di essere stata in quel limbo siderale per molto più che una manciata di nanosecondi.
Mio marito era accanto a me, teso e sollevato al contempo.

Dopo un periodo di accertamenti, il dottore mi disse che ero affetta da una rara sindrome degenerativa delle connessioni cerebrali che lasciava alcuni impulsi deviare dai percorsi stabiliti per poi rimettersi in carreggiata, sempre più lentamente, fino all’inesorabile infermità.
Ne dedussi quindi che le mie intime visioni altro non erano che i disegni della mia malattia. Una verità sconcertante. Non ne feci parola con nessuno.

Col passare del tempo, gli attacchi si fecero più violenti sia per l’intensità del rapimento sia per la crescente difficoltà che il mio corpo manifestava nel riassestarsi. In compenso era diminuita la loro frequenza.
Avevo preso delle precauzioni per continuare a vivere nel modo più normale possibile, come non uscire da sola ed evitare di affaticarmi. In questo modo mio marito sembrava rilassarsi un po’.
Da parte mia, alternavo fasi di ilarità forzata con momenti di immensa desolazione a cui tentavo di resistere con tutta me stessa.
Riuscivo così a tenere a bada lo sconforto e a riservarlo per quando mi trovavo sola in casa, davanti alla finestra, immersa nella lettura. Allora scoppiavo a piangere improvvisamente senza motivo, incanalando tutta la rabbia e la tristezza che avevo raccolto per eliminarle in una volta sola.
Il resto del tempo mi mostravo allegra e spensierata, come prima.

Verso Natale notai una bambina, in fila alla mensa dei poveri insieme a quelli che potevano essere i suoi genitori oppure i nonni, che teneva stretta a sé una bambola di pezza grigia, con una piccola toppa a forma di cuore sul petto e mutandoni della stessa stoffa a fiori. Era radiosa e incerta se nascondere quel suo prezioso tesoro oppure sventolarlo ai quattro venti orgogliosa, quasi fosse un trofeo che la faceva sembrare un po’ meno povera, triste e infreddolita. La madre, o nonna che fosse, aveva provato a togliergliela di mano, ma lei se l’era stretta tra le braccia e continuava ora a sollevarla in aria, ora a coprirla con la sciarpa, battibeccando rumorosamente con la donna.
Sorrisi: i figli devono essere una cosa meravigliosa.
Ma non era questo il punto: io ero sicura di aver già visto quella bambola.
Rovistai nei miei diari per due giorni ed eccola finalmente lì, in un’apparizione dell’anno precedente: un flash luminoso in cui una vecchia latta in discarica si trasformava in bambola e prendeva a correre in giro, alla ricerca di una mamma.

Qualche settimana dopo notai un paio di scarpe ai piedi del nuovo postino e le riconobbi all’istante: le scarpe di smeraldo che aprivano le danze alla sfilata dei carri mascherati del carnevale di Oz.
Ancora sentii un artista di strada cantare della città in fondo al lago rosso e vidi i fuochi d’artificio di quel capodanno disegnare i lampi della festa degli arcobaleni. Potrei fare tantissimi altri esempi come questi.

Io ricordavo ciò che gli altri vedevano ora per la prima volta e, mentre mi spegnevo piano, quei mondi che avevo creato apparivano sempre più reali sotto ai miei occhi, impressi della mia stessa vita.

 


5 thoughts on “Visioni

  1. reoloscrivano Rispondi

    Se non avessi la fantasia, mi sentirei come un’aquila priva di ali.
    Troppe volte ho inventato storie per tradurre la realtà che percepisco intorno. Grazie alla mia fantasia ho imparato a sorridere di fronte alla dura realtà.
    Ci si legge.

    1. alicetraforti Rispondi

      Bentrovato @reoloscrivano!
      Io non riuscirei a sopravvivere senza fantasticare ogni giorno, almeno un po’. Mi ritrovo spesso molto lontana con la mente e riesco a tradurre ben poco delle sconfinate terre in cui mi perdo. L’importante è immaginare e sorridere, come dici tu!
      A presto 🙂

  2. Jessica Rispondi

    Ciao Alice,
    innanzitutto complimenti per i tuoi racconti. Li ho trovati piacevolissimi, leggeri, una ventata di pura fantasia e immaginazione che ti fa volare via dalla – ahimè, troppo spesso – triste realtà quotidiana.
    Ti ringrazio per la dritta che – tramite la nostra comune amica Giulia – mi hai dato in merito al corso di scrittura di Riccardo Dal Ferro. Da quello che Giulia mi ha raccontato sull’utilità che per te ha avuto questo corso, ho deciso di iscrivermi. Sai, è da un po’ che mi diletto a scrivere racconti brevi, ma ora sono giunta ad un punto di stasi… mi serve qualche nuovo stimolo, oltre che qualche consiglio tecnico, per così dire.
    Bella la tua disponibilità a condividere con tutti i tuoi racconti, io non ci sono ancora arrivata… sono ancora nella fase vergogna, pudore, paura di non essere all’altezza… non so se mi capisci, comunque spero che il corso mi aiuti anche in questo.
    Ecco, grazie di tutto allora e non appena vincerò le mie “ansie da prestazione” ti farò leggere qualcosa di mio…
    A presto,
    Jessica.

    1. alicetraforti Rispondi

      Ciao Jessica!
      Innanzitutto grazie del commento, è bello trovarti qui. Il corso mi ha aiutato tantissimo, prima neanche sapevo di poter scrivere! Ci troveremo sicuramente lì così se vuoi parliamo un po’. 🙂
      Ho deciso di andare on-line per condividere questa avventura meravigliosa che è la scrittura e per migliorare e crescere tramite le “dritte” che arrivano dai lettori. È davvero stimolante.
      A presto cara Jessica! Sono davvero felice di incontrarti in questo percorso 😉

  3. Jessica Rispondi

    Grazie dell’accoglienza cara!
    Allora ci si vede in libreria, mi fa piacere pensare di trovare già una faccia amica!
    Ciao e buona domenica!
    J.

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