[Questo racconto partecipa al gruppo di scrittura #aedidigitali – tema 1 – #inizio]
Da principio non era altro che un pizzicorio discreto, un lieve punzecchiare sullo zigomo destro.
«Che diavolo succede qui?!» esclamò dopo un paio d’ore di fastidio altalenante, fissando la propria faccia riflessa nell’ovale dello specchio situato all’ingresso del suo studio.
Ma non c’era proprio nulla di strano, tranne la sua faccia.
Alle 18.00 si specchiò di nuovo: era comparso un leggero rossore striato, sempre lì nello stesso punto.
«Vedi qualcosa?» chiese ansioso all’amico, prima di rientrare.
«Ti sembra diverso dal solito?» incalzò senza nemmeno salutare, con un piede ancora fuori dalla porta di casa.
Si toccava, tastava la sua guancia e osservava gli sviluppi. Non riusciva a capire di cosa potesse trattarsi.
Quell’irritazione continuava a stare lì, spalmata sul suo viso di uomo, e rispondeva al suo sguardo indagatore con uno altrettanto sbieco e beffardo. La sua amata aveva sparso in giro per le stanze una quantità imprecisa di specchi, diversissimi fra loro per dimensione, forma e colore, “per non sentirsi sola in casa”. Sicché, ovunque egli si girasse, si ritrovava circondato da quell’inquietante escoriazione epiteliale.
Subito dopo cena, si dedicò senza esitazioni a un’autentica e oggettiva analisi degli accadimenti della giornata: appuntamenti, incontri, strette di mano, starnuti.
Si concentrò quindi sui sintomi collaterali: pelle secca, disidratazione, occhi lucidi, stanchezza diffusa.
Il quadro clinico era ora completo, finalmente poteva aprire le danze e iniziare a raccogliere tutti gli indizi possibili: virus del momento, malattie in decorrenza e reduci, epidemie di stagione.
Scrisse per prima a sua madre, la sua compagna fece altrettanto. Poi avvertì i suoi contatti del giorno e attese, in silenzio, appostato presso il suo smartphone.
Le risposte stavano tutte lì, scorrevano sullo schermo davanti ai suoi occhi una alla volta. Apriva un link, leggeva veloce, e correva a ispezionarsi allo specchio più vicino.
«Che dici, potrebbe essere questo?» domandava ogni due per tre.
Andò avanti così per lunga parte della sua serata. Alla fine, non ne poteva proprio più di congetture e ricerche a vuoto senza davvero sapere bene cosa cercare. Se ne andò a letto.
L’indomani mattina, appena si alzò, annullò tutti gli impegni e si precipitò in sala d’attesa.
Alle 13.00 ottenne il suo verdetto.
«Non è nulla. Una screpolatura come le altre, solo un po’ arrossata» aveva detto il medico di fiducia.
Uscì dallo studio a cuor leggero, con un intero pomeriggio libero davanti.
Per prima cosa avrebbe messo del buon cibo sotto ai denti. Se lo meritava, stava benone.
Si accorse quasi subito di non avere con sé le chiavi dell’auto. Dovevano esser scivolate fuori dalla tasca del giaccone.
Si voltò indietro, verso l’edificio che aveva appena lasciato, e intercettò la macchina del dottore che si allontanava, fino a sparire dalla sua vista.
“Pazienza. Tornerò a prenderla con la seconda copia” pensò senza più il minimo disagio.
Il sole splendeva alto in quell’insolito cielo azzurro primavera di fine gennaio.
“Come cambiano le stagioni, cioè come stanno cambiando: è ovvio che susseguendosi cambiano: estate, autunno, inverno… che strano inverno è questo! Ecco, così suona bene” discuteva tra sé e sé. “Chissà com’erano all’inizio queste pazze stagioni, quante volte sono cambiate, o sono rimaste le stesse fino ad ora? Non ci credo!”.
Passeggiava a lato della strada, costeggiando i verdi campi brillanti di rugiada, nella sua adorata e sperduta periferia di provincia.
Quel giorno si dimenticò di mangiare, si dimenticò delle chiavi e delle commissioni quotidiane necessarie.
Continuò solo a girovagare e pensare, giungendo infine a casa che era già buio.
«Dove ti sei cacciato oggi? E perché non hai risposto nemmeno al telefono?» incalzò subito la sua compagna.
«Non ho sentito» rispose lui allegro.
«Senti, ma perché non siamo mai andati al lago noi due, in tanti anni?
E perché non ci cuciniamo ogni tanto uno di quei minestroni che facevano le nostre nonne?
Mi chiedevo anche perché non abbiamo ancora dei figli. Possiamo avere dei figli, giusto?
E poi, da quand’è che sembra primavera in gennaio?» proseguì tutto d’un fiato.
«Che ti ha detto il dottore? È grave?» fece lei incerta, aggrovigliata in un insolito mix di preoccupazione e sarcasmo.
«Da non credere! Non è proprio nulla! Una ruga o qualcosa di simile, irritata dal freddo.
Così ho iniziato a pensare e immaginare un sacco di cose. Non ho fatto altro oggi. Mi sono divertito, anche se devo aver camminato troppo» sentenziò, più a sé stesso che a colei che aveva di fronte.
«Tu non me la racconti giusta… Da quando sei pensieroso?
E poi, con certi pensieri, bisogna stare attenti: potrebbero avverarsi, come i desideri e le lettere a Babbo Natale. Ti ricordi?» lo interrogò ancora, alludendo a chissà quali letterine del passato.
«Bene, allora inizierò col scrivere proprio a lui. Qui è ora di cambiare, di respirare, anche di sposarci, perché no?» andò avanti con rinnovata energia ed entusiasmo.
«Tesoro, sicuro che non hai bevuto? Mi sembri su di giri oggi!» disse allora lei con una grossa risata.
«Sono stra-sicuro! E a proposito: passami l’acqua che sto morendo di sete» rise anche lui.
Si versò un bicchiere e rimase qualche momento a guardare il liquido trasparente.
«Non c’è nulla qui dentro, eppure è tutto. Dicono che sia iniziato così, il Big Bang: un’esplosione di vita nel vuoto cosmico e dal nulla ecco l’aria, l’acqua, la terra, il fuoco, la vita come la conosciamo! Abbiamo un libro sul Big Bang? Anzi lascia stare, fa niente» e bevve in un sol sorso.
«Secondo te, esattamente quando il Big Bang ha deciso di esplodere?
Mi spiego meglio: credi che abbia aspettato il momento giusto per dare il via alla vita o che sia partito in quarta? Si sarà preparato a tutto questo, in qualche modo?» appoggiò il mento sulla mano, con le sopracciglia inarcate e lo sguardo sospeso.
«Boh, a volte basta decidere sai. Si sarà stufato e sarà esploso, magari era un po’ stressato da tutti quei preparativi… Non deve essere stato affatto semplice predisporre un pianeta intero» continuò lei, divertita da quel gioco, ipotizzando frammenti di genesi in successione come fossero ordinarie faccende domestiche.
«Forse ha fatto proprio come te: ha realizzato che stava bene e che tutto filava liscio, ha capito di essere pronto a metter su famiglia, e poi si è trovato all’altare, senza sapere come, è diventato papà e ha vissuto per sempre felice e contento. Un Big Bang coi fiocchi!» soggiunse infine, tentennante e sorridente.
Il loro fu uno sguardo d’intesa, un’unica occhiata complice che dette il La a tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Basta una ruga, o un pizzicotto, un soffio, un battito, una parola… ed è già l’inizio di una nuova storia.