scritto in occasione della mostra LATO B | un altro genere di storia
presso Spazio Rizzato – Marano Vicentino (VI)
visitabile dal 25/11/2017 al 30/12/2017
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Lato B
un altro genere di storia
La mostra Lato B | un altro genere di storia catalizza l’attenzione sull’identità della donna nel quotidiano contemporaneo, presentando le opere di Elisabetta Roncoroni e Joseph Rossi.
Lato B non è solo una provocazione.
Lato B viene connotato nella più comune delle accezioni, cioè il retro.
Nell’immaginario collettivo è infatti immediatamente identificato in senso fisico con il versante posteriore del corpo umano, ma in questo contesto è inteso come rovescio: un punto di vista ribaltato e opposto a quello più diffusamente conosciuto che talvolta può rivelare un significato nascosto alla vista, un lato oscuro dove non arriva luce.
Lato B è anche il seguito dello stesso racconto, quello celato dall’altra parte del nastro, quello che ci obbliga a estrarre la musicassetta e a inserirla nuovamente, con una prospettiva rovesciata, per poter ascoltare tutta la storia fino in fondo.
Pronti a premere sul tasto PLAY?
Inizia la storia.
Un altro genere di storia parla dell’universo femminile e di quello maschile insieme, perché non esiste separazione, ma solo relazioni tra individui, unici e diversi, per niente scontati dietro a etichette di appartenenza e classificazioni che pretendono di rinchiudere una personalità e di definire meriti di uguaglianza e parità.
Un altro genere di storia mostra il corpo della donna privo degli stereotipi di genere e di bellezza, ma nella nuda verità del suo essere, valorizzando ogni momento di gioia e di dolore rimasto impresso nella sua esistenza.
Un altro genere di storia racconta anche del femminicidio che è soprattutto un assassinio, un annullamento della vita posto in atto tra esseri viventi, un’espressione drammatica di una relazione non vissuta degnamente alla pari, ma come dominanza e sottomissione.
Perciò torno a quel Lato B inteso semplicemente come “l’altro”: A e B, io e l’altro, all’interno di una dicotomia in cui applicare gli stessi valori individuali, annullando attraverso il dialogo paritario qualsiasi sterile metro di misura, se non per i metri cubi di felicità.
testo liberamente ispirato dal discorso di Chimamanda Ngozi Adichie, in occasione del TEDxEuston nel 2012 (www.ted.com/talks/chimamanda_ngozi_adichie_we_should_all_be_feminists)
gli artisti
Le fotografie di Elisabetta Roncoroni sono ritratti senza volto di 14 donne diverse, appartenenti alla serie Peaux (2017).
Ciascuno scatto valorizza l’identità dell’individuo esaltando l’unicità del corpo umano percorso proprio da quei segni distintivi che l’esistenza e il vissuto quotidiano lasciano incisi sull’epidermide.
Sono foto di corpi senza vesti, ricoperti di sola pelle, dettagli di cicatrici, tatuaggi, rughe, particolari asimmetrie e inestetismi, contrasti cromatici.
Sono frammenti di un divenire incessante, processi fissati nella carne, attimi fermati su una pellicola.
Elisabetta ci mostra quello che tutti siamo, ma che tutti fingiamo di non essere: corpi che vivono nel tempo.
Ma perché il corpo come valore?
Il corpo è il tramite tra ciascun individuo e l’altro, di qualsiasi genere essi siano.
Il corpo nudo è la verità dell’essere umano. La verità di un corpo nudo delinea l’identità di ciascun individuo, racconta la storia di quel particolare vissuto, definisce la sua unicità.
Joseph Rossi presenta 2 installazioni, di tutt’altro sapore, spostando l’attenzione sul fenomeno del femminicidio in chiave attuale.
Un trittico al neon riporta la scritta “Woman + SHE IS + female” al cui interno sono accese solo le lettere “man + HE IS + male”. Non si tratta della valorizzazione della figura maschile contenuta all’interno della donna, anche se può sembrare così.
Quella che Joseph racconta, invece, è una storia di predominanza, di privazione di una luce che è vita e che è prerogativa della parte maschile. L’uomo ha tolto la luce alla donna, che a sua volta cerca di lottare, in un’intermittenza luminosa che è un gioco di potere, per far valere il proprio insindacabile diritto alla vita nella coesistenza.
Il dittico della serie PANTONE (il codice colore universale utilizzato nel campo della grafica) invece si fa denuncia di un omicidio politico.
Il primo pannello B. Bhutto 1953 ci mostra il personaggio alla nascita, connotato unicamente dal colore del pantone che identifica la sua personalità: il rosa.
Benazir Bhutto è stata la prima e la più giovane donna ad aver ricoperto la carica di Primo Ministro del Pakistan, nel 1988 e nel 1993. Nel 1999 esce dal proprio paese, in attesa di potersi candidare ancora, e vi rientra nel 2007 per condurre una trattativa politica. Dopo una vicenda alternata da atti terroristici e arresti domiciliari, Benazir Bhutto trova la morte in un ultimo attentato pubblico contro la sua persona.
Ed ecco il secondo pannello B. Bhutto 2007: un pantone rosso forato da 5 colpi mortali.
Joseph sembra semplicemente dire: Benazir Bhutto 1953-2007, Pakistan, leader politico donna, assassinata.