Francesca Pasquali. Not ordinary place

scritto in occasione della mostra Francesca Pasquali. Not ordinary place
presso Ersel (via Massimo D’Azeglio 19, Bologna)
opening 23 gennaio 2020 alle ore 18.00 – fino al 28 febbraio 2020

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La vita nella società di oggi si presenta come un inarrestabile flusso di attività condivise ed esperienze individuali che si alternano nelle stanze del nostro quotidiano: dalla cura della casa, alla scuola o al lavoro, fino ai contesti più o meno ricreativi che tassellano la variegata offerta delle nostre città.

Dal momento in cui ci svegliamo a quello in cui andiamo a dormire, assistiamo a una successione continua di eventi per la maggior parte uguali a sé stessi che, giorno dopo giorno, si trasformano in rassicuranti abitudini custodite all’interno delle preziose comfort zone che abbiamo costruito intorno a noi.

Del resto, il comportamento dell’uomo è ripetitivo e prevedibile, e manifesta fin dalla nascita un bisogno fisiologico di schemi da reiterare e di sequenze da mandare in loop per interiorizzare un ritmo vitale proprio. Questo va avanti fino al punto in cui, assalito dalla noia di vivere, paradossalmente sente la necessità esistenziale di tornare a guardare ai luoghi e ai fatti del quotidiano con occhi pieni di meraviglia, come un bambino.

E se i nostri ritmi ordinari, a volte ridotti a sterili automatismi, venissero all’improvviso attraversati da un glicth, un’interferenza che con il proprio bagliore illumina una nuova estatica visione sulla realtà circostante?

Allora le nostre giornate, chiuse in scatole di diversa misura e contenuto, ci regalerebbero inattesi momenti di autentica evasione nella temeraria esplorazione di un universo sconosciuto presente all’interno del nostro solito mondo.

la mostra

Con la mostra Not ordinary place, nell’ambito di ART CITY Segnala 2020 in occasione di Arte Fiera, la realtà indipendente di Ersel, attiva nella gestione di importanti patrimoni fin dal 1936, si affida all’artista Francesca Pasquali (Bologna, 1980) per portare l’arte contemporanea negli uffici della propria sede bolognese, all’interno di uno dei tradizionali palazzi senatoriali della città, abbracciando con delicatezza la storia passata di questi ambienti, già attentamente preservata nella recente ristrutturazione funzionale ad opera dello stesso Ciclostile Architettura, che solo l’anno precedente aveva chiuso anche i lavori di recupero del nuovo studio dell’artista. Ecco che le connessioni apparentemente casuali tra i soggetti coinvolti sono invece il risultato di un approccio condiviso nel sentire e vivere lo spazio architettonico.

In questo contesto, quindi, le opere installate si trovano a dialogare direttamente con le volte affrescate e i pavimenti alla veneziana delle sale, mixando atmosfere squisitamente classiche a voli pindarici più arditi che trovano una straordinaria dimensione emozionale proprio nella vocazione ordinaria, implicita sia nell’impiego degli spazi di lavoro, sia nella materia costitutiva dell’opera d’arte stessa.

Su questi temi, l’artista Francesca Pasquali conduce dai primi anni del nuovo millennio una puntuale ricerca attraverso i materiali di uso domestico e industriale rintracciabili nelle produzioni artificiali, recuperandone le effettive potenzialità plastico-scultoree volte a stimolare un atteggiamento proattivo dell’osservatore.

Ogni sua opera diventa quindi un dispositivo visivo e relazionale che si inserisce tra lo spettatore e l’ambiente circostante, in grado di far scaturire altre letture della realtà.

le opere

A partire dal portico esterno che collega l’antico palazzo all’attuale vita cittadina, va in scena un eclatante atto di contaminazione che non vuole certo passare inosservato nel via vai indaffarato delle giornate, portando tutti coloro che accettano di entrare fin dentro ai luoghi segreti della materia, prima che essa venga trasformata dai processi di lavorazione industriale in banali oggetti di uso quotidiano.

Una monumentale Setola (2018) che sgorga a cascata tra il colonnato, segna l’accesso a un mondo incantato, una sorta di foresta artificiale magicamente comparsa dal nulla e prepotentemente insinuata tra le architetture custodi del nostro passato.
L’installazione site-specific prosegue costellando lo scalone di altri morbidi filamenti colorati che, sospesi come nuvole o poggiati a terra in un zig zag di piccoli totem, volteggiano all’avvicinarsi delle persone, rispondendo della reciproca presenza quasi fossero creature vive.

Entrando da Ersel, al piano nobile dell’edificio, è altrettanto evidente che a spuntare dai cilindri neri posti all’angolo del desk di accoglienza non sono le classiche piante da ingresso, bensì piccole distese di Setole (2015) le cui superfici ondulate, rivolte verso il cielo, sfumano nella monocromia di fili di plastica coltivati in vaso, che restituiscono la sensazione di fazzolettini erbosi provenienti dal paese delle meraviglie.

In fondo al corridoio, New Baroque (2016) sembra fuoriuscire direttamente dalla parete in una massa bianca e informe. Man mano che la distanza viene colmata, nel ricco groviglio di filamenti è possibile distinguere una pioggia di candidi trucioli di pvc, scarti di lavorazione industriale, diversi per stampo e misura, riuniti in un’esplosione barocca di dettagli che, da accessorio decorativo, diventano il soggetto principale della narrazione.

Immergendo ogni componente in un nuovo tessuto relazionale, Francesca Pasquali dona una rinnovata necessità esistenziale a ciò che aveva appena consumato la propria funzione.
Guardando ancora più vicino, si può quindi scoprire un intero microcosmo popolato di forme e corpi sconosciuti, che occupano con forza ogni dimensione vitale disponibile.

Oltre la parete vetrata della sala riunioni, la grande Frappa (2016) ci avvolge in un morbido abbraccio in neoprene, fatto di ondulazioni color panna e grigio, vibranti di luci e ombre, che invitano i nostri pensieri a immergersi nelle sue labirintiche sinuosità.
Che cosa si nasconde nelle profonde insenature della materia, oltre le densità della superficie e tra il lembi lasciati aperti per vedere tra uno strato e l’altro, tra un pensiero e l’altro?

Dopo essersi persi in questi contorti meandri cerebrali, non possiamo fare a meno di ritrovare noi stessi nel paesaggio glaciale di Iceberg (2016), la cui superficie specchiante riflette il nostro ritratto catapultandoci in una dimensione surreale, tra ghiacci artificiali baciati da un bagliore dorato che conferisce un’aura mistica, come se volesse suggerirci di attuare qualche azione provvidenziale allo scioglimento delle calotte polari o, al contrario, semplicemente mostrarci un futuro in cui sono sopravvissuti magnifici ghiacciai di plastica.
Qui lo spazio mentale si srotola insieme al movimento fisico dell’osservatore che ad ogni passo apre nuove estensioni dimensionali grazie a infinite variabili di luce, spazio e posizione, in una percezione amplificata dall’ambiguità della rifrazione.

Nella stessa stanza, altre Setole (2018) ci attirano irrimediabilmente a vagliare con lo sguardo le diverse intensità tonali di cui si compongono. In quest’opera, la dominante del colore cambia rapidamente sia il paesaggio, sia la sensazione tattile della propria superficie, in un crescendo dal nero al giallo fluo, dalla notte buia e profonda fino al sole alto e accecante, passando per il chiarore della luna e l’eco delle stelle.

Altre presenze ci sorprendono dietro a ogni porta, attivando un’incessante catena di reazioni emotive e azioni conseguenti, che trasformano il nostro modo di vivere ciascun ambiente e modificano la nostra attenzione nel percepirne ogni particolare, in una scala che va dall’infinitesimale fino alle grandezze cosmiche dell’universo, di fuori e di dentro.

Gli Spiderballs (2017) accendono i nostri sensi e ci fanno sobbalzare in un arcobaleno di sensazioni ad ampio spettro. Possiamo accarezzare con mano lo stato di quiete di una colonia di microorganismi in scala macroscopica, pronti a esplodere da un momento all’altro e a moltiplicarsi a macchia per riempire tutto il vuoto intorno.

Infine, Nero (2012) disegna su una lastra di neoprene graffiato il gesto ossessivo di togliere gli strati di materia non necessaria posti continuamente a custodirne la sostanza autentica che, appiattita sul fondo da ciò che la protegge e oscura, rischia di non riuscire più a pulsare, sopraffatta dalla paura dell’ignoto. Sulla superficie si snoda una sorta di scrittura geografico-musicale, le cui coordinate fanno riferimento ad assi e ritmi non del tutto decifrabili, ma chiaramente percepibili.

l’invito dell’arte

Chiunque desideri tuffarsi a capofitto nel gioco dell’arte ha la possibilità di sperimentare la propria visione, mettendo in gioco innanzitutto sé stesso nell’accogliere la straordinaria potenza della sorpresa all’interno della propria immacolata comfort zone.

Ecco che immaginifici tessuti cangianti, lunghi filamenti setosi, fitti conglomerati di setole di diverso tipo, infiniti piani di cannucce multicolore, microcosmi artificiali in neoprene, fondali di plexiglas trasparente e specchi illusori mettono in scena inenarrabili sfumature di abituale bellezza e conferiscono un’inedita esperienza dei luoghi che popolano. Sia chi li vive nel quotidiano, sia chi li attraversa all’occasione, può vivere la trasformazione di un’asettica relazione spaziale in una sensazionale scoperta di valore estetico nascosta in ogni faccenda della vita.

L’intento comune, di Ersel e di Francesca Pasquali nell’arte, non è però quello di uno straniamento passeggero o di un temporaneo divertimento fine a sé stesso, piuttosto va individuato in un costante arricchimento interiore cogliendo il prezioso invito a non farsi sopraffare dall’immobilità, pur restando immersi nella classica routine della necessità quotidiana.

Not ordinary place sublima infine in un impegno condiviso ed estendibile a tutti: quello di aver cura ogni giorno del nostro intimo ordinario combattendo l’indifferenza con cui a volte guardiamo senza più vedere, e di contagiare con la prospettiva dell’arte ogni orizzonte percorso, alla ricerca della meraviglia custodita negli anfratti dell’esistenza.


Leggi anche la mia intervista a Francesca Pasquali, online su ArTalkers.it (26/07/2019):
Francesca Pasquali: TAKE CARE! Aver cura, nell’arte come nella vita