Annamaria Gelmi. Linea, ritmo e spazio: il progetto del sogno.

scritto in occasione della mostra Annamaria Gelmi: Caro Spartaco
presso LOOM GalleryMilano
visitabile dal 14/11/2019 al 11/01/2020

>> Diritto d’autore e Copyright: Alice Traforti è titolare del diritto d’autore. È vietata ogni riproduzione senza autorizzazione dell’autore. La citazione (riproduzione parziale) è autorizzata esclusivamente senza scopo di lucro e citando il nome dell’autore.


Fin dall’età infantile, l’immaginazione spinge l’essere umano a visualizzare l’impossibile, oltre i confini della conoscenza, inventando nuove regole per nuovi mondi.

Anziché sfumare lentamente, con il passare del tempo il desiderio di veder realizzato qualche volo pindarico della propria fantasia si rafforza e, acquisendo sempre maggior coerenza, muove il pensiero creativo a inventare gli strumenti necessari per attuarlo.

La progettazione come verifica dell’attuabilità dell’invenzione, coraggiosa e coerente, diventa allora la chiave del cambiamento concreto, la vera sostanza dei sogni che si realizzano.

la ricerca di Annamaria Gelmi

La ricerca che Annamaria Gelmi (Trento, 1943) conduce con rigore geometrico attraverso la linea, il ritmo e lo spazio, sospinge da sempre il suo fare arte tra esplosioni squisitamente emozionali e risultati formali controllati, in un discorso analitico che puntualmente cede alla seduzione del colore e della memoria del sentire umano.
Infatti le attività dell’uomo, anche quelle più prettamente meccaniche, si distinguono da quelle di un automa per i sentimenti che accompagnano e rendono unico ciascun frammento di vita individuale nel flusso universale degli eventi.
Anche quando il linguaggio visivo passa attraverso la programmazione di forme oggettive e scientificamente condivisibili, la sua percezione resta di fatto un dato soggettivo, esprimendo così la complessità dell’homo sapiens come una macchina dalla struttura perfettamente organizzata costretta a fare i conti con un’intelligenza sensibile, a volte al limite dell’irrazionale e dell’imprevedibile.

la mostra

La mostra Caro Spartaco (2019 – LOOM Gallery, Milano) desidera mettere in relazione un selezionato nucleo di lavori costruiti con riga e compasso, misure e formule, alla componente emotiva nascosta nel processo progettazione che, apparentemente asettico, evidenzia ogni presa di posizione decisiva nella vita personale e nella carriera dell’artista, là dove l’incertezza cede il passo alla fiducia della speranza.

Realizzate principalmente negli anni ’70, culla di idealismi internazionalmente diffusi e partecipati, le opere sono il racconto per immagini delle diverse fasi che vanno dalla nascita di un’utopia fino alla verifica delle sue possibilità.
Affrontando con decisione il rischio calcolato di ridurre l’elaborazione visiva a un virtuoso esercizio di stile, i risultati estetici di questo importante momento creativo mettono quindi in scena gli ideali propri dell’artista, immersi con matematica coerenza in una dimensione in bilico tra l’essenza del sogno e la veridicità della sua messa in opera.

È così che le figurazioni di Annamaria Gelmi si ritrovano sospese in uno spazio tanto onirico quanto rigoroso, impregnato di regole ma altrettanto ricco di improvvisazioni, dove i tratti e le forme rispondo ed evadono allo stesso tempo la logica costruttiva, sperimentando ritmi esistenziali inconsueti che si accorano alle vicende, interiori ed esteriori, del reale.

Dal lato opposto, chi osserva queste opere si ritrova quindi a chiedersi come possa un quadrato essere a volte leggero, oppure fugace, cupo, immobile… in perenne trasformazione, restando nella sostanza un insieme di elementi lineari, a volte cosparsi di qualche tocco di colore, intrisi di un delicato lirismo che si estende allo spazio fisico circostante fino a insinuarsi nello spazio mentale dello spettatore, rivelando il cuore dell’artista là dove sembra essere sopraffatto dalla razionalità.

La sorpresa diventa allora protagonista assoluta nel concatenarsi di azione creativa dell’autore e reazione emotiva dell’osservatore, continuando a generare esiti mai scontati.

le opere degli anni ’70 di Annamaria Gelmi

Nel palinsesto dell’offerta culturale degli anni ’70, l’interesse di Annamaria Gelmi si sposta continuamente dallo spazio bidimensionale a quello tridimensionale, attingendo da un piano all’altro concetti e metodologie applicati con rinnovate prospettive alla consueta ricerca formale sulla linea e sulla costruzione di nuovi ritmi dell’esistenza.

In scultura, l’artista lavora inizialmente sulla verifica delle possibilità costruttive ispirate all’astrazione geometrica e ai processi della produzione industriale, appresi nei laboratori.

Cercando di stimolare dialoghi inattesi tra il corpo dell’opera e quello dello spettatore, prevede quindi una certa libertà di intervento diretto: i moduli di plexiglas trasparente, non più disegnati su sinuosità morfologiche, ma sagomati a partire da forme matematiche regolari, vengono assemblati manualmente ottenendo diversi equilibri compositivi dove il soggetto dell’opera, la nota che crea il ritmo, è lo spazio lasciato vuoto, non occupato dalla materia (Elementi componibili, 1976).

Parallelamente, la sperimentazione slitta verso le complessità del disegno tecnico, aprendo così le porte alla programmazione non solo estetico-strutturale, ma plastico-sensoriale pur restando nella bidimensionalità progettuale.

Annamaria Gelmi inventa alternative spazio-temporali e traccia su grandi fogli tanti possibili schemi di comportamento delle geometrie primarie, a volte ridotte a segni o contorni anche parziali, fluttuanti su uno sfondo indefinito, insieme alla propria struttura compositiva e a quella delle tappe più significative dei propri movimenti.

Traslazioni, proiezioni, rotazioni e libere combinazioni immaginifiche delle stesse, seppur ferme, sono animate da un senso dinamico che non vacilla in quell’instabilità percettiva, che a volte disorientava lo spettatore così tanto da tenerlo a distanza. Al contrario, l’artista lo fa avvicinare curioso e cristallizza i passaggi costitutivi di ciascuna figurazione in visioni salde e ordinate, sottratte al flusso del tempo e condensate in uno spazio immateriale, proprio come tanti frame istantanei della vita di un cerchio, di un triangolo o di un quadrato, che coesistono nello stesso schermo.

Nello scarto da 3 a 2 dimensioni, la necessità di continuare a costruire nuove possibilità di interazione nello spazio viene affidata alle potenzialità del supporto.

Dopo la carica evocativa di carta e collage, Annamaria Gelmi viene attirata dalla trasparenza delle lastre di acetato, che usa per creare una fluida connessione non solo tra le figure disegnate a china, ma anche con le rispettive ombre proiettate sulla parete espositiva che, come accade per esempio in Rotazione e Struttura ambiente (1976), viene inglobata nella superficie pittorica. In una poetica corrispondenza segnica tra marcate matrici fisse ed effimere tracce virtuali, la realtà fisica e quella intangibile si tuffano l’una nell’altra, sfondando i canoni epidermici della grafica.

Anche il visitatore partecipa allo sconfinamento ambientale dell’estensione del foglio e diventa quindi un’altra parte attiva dell’opera, le cui valenze estetiche e relazionali mutano insieme al luogo e al punto di osservazione, al di qua o al di là della facciata, verso il muro o verso lo spazio aperto, come di fatto avverrà nelle prime installazioni proprio con la serie dei Ritmi-Ombre, nonché in tutta la produzione scultorea successiva.

Ulteriori varianti emozionali vengono suggerite con gli sfondi colorati a mo’ di filtro fotografico, generando diverse atmosfere figurali come in Rotazione e Doppia Rotazione (1977).

Inoltre, l’acetato montato su superfici di alluminio satinato acquisisce un’inedita profondità con surreali effetti di luce e colore, riflessi dall’ambiente, in cui può rivedersi anche l’osservatore.

Questa rinnovata carica progettuale si espande subito anche alla scultura e sfocia in una serie di plexiglas liberi, modulati su linearità prevalentemente diagonali e con forme piene, traslate in una sequenza di piani tridimensionali che si lambiscono, come in Sequenza triangolare (1978), o si intersecano tra loro.

Scrutabile da diverse angolazioni, ogni costrutto plastico spalanca le prospettive sulla realtà circostante e si trasforma in un’installazione ambientale dove la protagonista non è l’opera in senso assoluto, bensì tutte le sue infinite propagazioni.

il progetto del sogno

Elevandosi dalla mera funzione di bozza, il progetto entra prepotentemente in scena in tutte le dimensioni esistenziali immaginabili e sublima in un flusso di coscienza, fatto di segni e di diverse proiezioni materiche, dove ogni linea è come un tracciato emozionale in cui è possibile leggere le tante stratificazioni del pensiero di Annamaria Gelmi, i giri di volta e i passi di danza, le gioie, le amarezze e le aspirazioni della vita di donna, di moglie e di madre, a cui possiamo infine giustapporre anche le nostre e quelle dell’umanità.

In questo frangente dove la realtà fisica e quella intangibile si tuffano l’una nell’altra, ognuno di noi può incontrare anche Spartaco: costante nello spazio-tempo, necessaria presenza in tutte le forme e i gradi della coesistenza.


Leggi anche:
Annamaria Gelmi: linea, ritmo e spazio dell’immaginazione (intervista per ArTalkers.it, 30/11/2019)
Caro Spartaco, la mostra personale di Annamaria Gelmi (recensione critica per The Art post Blog, 28/12/2019)
Annamaria Gelmi: Caro Spartaco ( recensione critica per Collezione da Tiffany, 31/12/2019)